LETTERA APERTA AD UN MEDICO DELL’INPS

Pubblichiamo integralmente una lettera aperta giunta in redazione. Chi scrive, chiedendo di rimanere nell’anonimato, è una persona che vive una situazione delicata: un ricorso per l’accertamento dell’invalidità civile e, quindi, l’ottenimento del diritto reclamato. Una storia di dolore, nella quale si rivedranno in molti o riconosceranno i calvari di persone vicine. Righe che dalla prima all’ultima fanno riflettere e rappresentano la fotografia di una realtà difficile e delicata.

Le storie di coraggio, in questo paese, servono solo a foraggiare certi programmi televisivi. Barbara D’Urso, ma non sole lei, lo sa bene. Hai subìto un abuso? Scrivi a Mi manda sempronio e te lo risolviamo in diretta. Poi c’è la vita vera, quella che devi affrontare ogni giorno senza una telecamera che registra. Quella in cui sei sola contro il funzionario di turno, lo stesso che dovrà decidere se hai il diritto di avere determinati riconoscimenti. Non è mai corretto generalizzare, tuttavia le cronache dimostrano che il malcostume, la leggerezza, l’interesse privato, non di rado prevalgono sulla professionalità, la dignità. Un burocrate non può farsi condizionare da situazioni che non sono contemplate nel suo protocollo tecnico. Se non rientri nelle caselle prestabilite dal comitato scientifico non hai scampo, non esisti. La dimostrazione di ciò la trovi pure nella modulistica. Nei certificati dell’Inps puoi trovare, alla voce: stato civile, la condizione di abbandonata. Non trovi però una casella con scritto: libera. Libera, in quanto già divorziata e con successive convivenze e figli naturali oltre che legittimi (odiosa distinzione). Niente, non sei classificabile, non esiste una casella dove mettere una x. Poca cosa, direte voi, e così la penso anch’io. La faccenda si liquida con una risata. Ci sono vicende invece che non si possono liquidare con una risata seppur sardonica. inps mediciIl funzionario di turno, stavolta, è un medico, applicato alla burocrazia. Non gli serve il giuramento d’Ippocrate fatto a suo tempo, non cura i malati… giudica. Guarda le carte e giudica. Legge i referti e giudica. Qualcuno potrebbe obiettare il verbo da me usato e sostituirlo con un più rassicurante: valuta. Ma un burocrate non può valutare, può solo giudicare, distinguere il giusto dallo sbagliato, in altre parole il bene dal male. E ci si deve sentire un po’ Dio ad avere questo tipo di potere, immagino. E se sei dio non puoi perdere tempo a sentire una storia fatta di coraggio, caparbietà, riscatto. Per ottenere ciò che ti spetta devi mostrarti debole, malato, incapace di autosufficienza dinnanzi ai problemi di salute che dici di avere, nonostante le certificazioni siano chiare, spiazzanti. Se le carte dicono che sei ipovedente allora devi dimostrarlo, magari rincarando la dose. Ho provato a spiegare che la mia apparente disinvoltura nel muovermi è il frutto di trentacinque anni di allenamento. Ho provato a spiegare che il visus certificato oggi non è più attendibile il giorno dopo, che la mia cornea trapiantata oltre trent’anni fa è in continuo movimento, si stropiccia dopo un pianto, con un cambio climatico, dopo una notte insonne. È il mio tallone d’Achille, ogni forma di stress che vivo modifica il visus che ho in un solo occhio, quello con cui faccio tutto, l’altro è andato a male da tempo e non si può neppure tentare di correggerlo con una lente. Potrei tentare un ennesimo intervento, ma senza garanzia di risultato, una roulette russa e forse prima o poi premerò questo grilletto. La sola certezza sarà quella di acuire la mia eterna fotofobia. Altre cicatrici sulla cornea che mi impediranno di uscire allo scoperto in pieno sole, che bruceranno fino a farmi piangere ogni volta che dovrò fissare qualcosa di luminoso. Ma questo problema non è contemplato nelle patologie riconosciute dalle tabelle Inps, pertanto non esiste. Ciò che il giudice vede è una donna che si muove dentro gli spazi con disinvoltura, senza neppure tentare di fingersi impacciata. Già, ma il giudice dov’era quando questa donna cadeva scendendo le scale perché il primo gradino non lo vedeva mai? Ora ha imparato a tastare il terreno con il piede prima di scendere, per capire dove comincia il gradino. Dov’era quando non distingueva i suoi figli all’uscita di scuola e aspettava che fossero loro a trovarla. Dov’era quando non riusciva a mettere l’acqua dentro un bicchiere senza versarne una parte fuori. Dov’era quando perdeva gli autobus perché non riusciva a leggere il numero della linea da prendere. Dov’era quando era in ospedale ad aspettare che morisse qualcuno per avere una cornea sana. Il giudice burocrate non è neppure un oculista, non conosce le patologie dell’occhio, ma, paradossalmente, neppure un oculista sarebbe in grado di comprendere fino in fondo questo problema, chi ci vede bene non sa, non può sapere. Non mi è mai piaciuto augurare del male a qualcuno, e non comincerò giusto ora, tuttavia una piccola soddisfazione me la prenderei, momentanea s’intende. Vorrei tanto che un bel giorno il giudice burocrate si svegliasse con il mio visus, così all’improvviso, vorrei vederlo riempirsi di lividi sbattendo contro gli spigoli, disperato nella ricerca del telefono che ha sul comodino, ma che non vede. Angosciato al solo pensiero di uscire di casa in quelle condizioni e poi, cadere o non riconoscere i volti dei familiari in mezzo alla folla. Non essere in grado di svolgere il suo lavoro perché incapace di leggere i caratteri troppo piccoli. Una settimana, non dico per sempre, una sola settimana da ipovedente e poi tornare a vederci chiaro, stavolta si spera in tutti i sensi.
Porterò avanti la mia battaglia, userò la burocrazia, parlerò la loro lingua nella speranza di incontrare un giudice capace di valutare dopo aver ascoltato l’imputato e prima di esprimere un verdetto.

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