L’UMILE IMPIEGATO CHE DIVENTÒ GALLERISTA DI FAMA MONDIALE

Da destra, il critico Fuyumi Namioka, Salvatore Ala e Antonio Sammartano
Una delle ultime foto che ritraggono Salvatore Ala. In questo scatto è insieme al gallerista Antonio Sammartano e al critico Fuyumi Namioka.

Ricorre oggi un triste anniversario, quello della morte di Salvatore Ala, gallerista nato a Paceco e conosciuto in tutto il mondo. Infatti, è a lui che si deve l’organizzazione di importanti mostre con artisti prestigiosi del calibro di Andy Warhol e Keith Haring, dei “nostri” Alighiero Boetti e Alberto Burri – di quest’ultimo è noto il contributo dato  all’hinterland trapanese: a seguito del devastante terremoto che il 14 gennaio 1968 colpì Gibellina, realizzò a titolo gratuito il “Grande Cretto”.
Ancora giovane, Ala, lasciò la sua Terra d’origine per giungere Milano, dove già si trovava il fratello. Trovò lavoro come semplice impiegato presso una galleria d’arte della città: un momento che lo avrebbe segnato per sempre; un colpo di fulmine che sarebbe stato l’inizio di una carriera straordinaria che vogliamo raccontarvi, anche con aneddoti inediti o poco conosciuti, attraverso la testimonianza di un suo caro amico e collega, Antonio Sammartano.

Chi era Salvatore Ala?
Salvatore era un ricercatore, una persona che andava a cercare gli artisti. Un gallerista non è il proprietario di uno spazio artistico ma lavora come un cercatore di tartufi, andando alla ricerca non dell’artista che più gli piace ma di quello che si distingue e comunica qualcosa alla società. Lui è riuscito proprio in questo, ed è stato premiato. Agli inizi della sua carriera, ad esempio, conosce un certo Lucio Fontana, all’epoca poco conosciuto. Salvatore contribuisce a farlo diventare un artista internazionale riuscendo a piazzare qualche suo quadro in un periodo in cui era difficilissimo vendere opere di arte contemporanea, poiché non veniva capita e c’era molta diffidenza. Mi raccontava che la gente gli diceva “ma perché vendi questi quadri? Vendi un paesaggio che è meglio”.

Un quadro di Fontana era davvero molto avanti a quel tempo...
Eccome! I primi acquirenti, infatti, furono i medici, forse perché i suoi quadri ricordavano il taglio del bisturi, attrezzo che utilizzava davvero per tagliare le tele. Salvatore mi raccontò di un medico che sceglieva i quadri tra un’operazione e l’altra. Salvatore attendeva con i quadri in bella mostra nella sala d’aspetto dell’ospedale, lui usciva con le mani ancora insanguinate e col bisturi in mano sceglieva quali acquistare.

Come comincia la sua carriera?
Salvatore era giovane, in quel periodo chi poteva migrava al Nord. Così fece anche lui, anche perché aveva l’appoggio del fratello che già aveva trovato lavoro là. Casualmente riesce a farsi assumere presso una galleria d’arte. Fu amore a prima vista, da lì comincia ad addentrarsi nel mondo dell’arte fino a creare una sua galleria e, nel 1988, ad aprirne un’altra a New York. Qui, l’anno dopo l’inaugurazione, ospita i quadri di una concittadina speciale, Carla Accardi. L’indimenticata artista deve parte della sua fortuna proprio a Salvatore. È bello vedere che tra geni provenienti dallo stesso territorio non ci fosse una sterile rivalità bensì stima e ammirazione.

Pensi sia vivo il ricordo di Salvatore Ala nel territorio e nella sua città natale, Paceco, o percepisci il contrario?
Purtroppo non mi sembra sia stato fatto molto, questo è davvero un peccato vista la persona di cui parliamo. Proprio per questo, però, se si volesse prendere l’iniziativa la cosa più bella sarebbe quella di istituire un premio, magari da dare a giovani e talentuosi galleristi. Piuttosto che intitolargli una via, cosa che probabilmente col tempo lo farebbe cadere nel dimenticatoio, un premio rinnoverebbe il suo ricordo e con un esborso davvero esiguo creerebbe un movimento di artisti e intellettuali non indifferente, che finirebbe per diventare un importante appuntamento.

 

Marco Amico

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