Sequestro beni, chi è il commerciante d’arte Giovanni Franco Becchina?

dia trapaniGiovanni Franco Becchina emigrato da Castelvetrano, sua città d’origine, in Svizzera, dopo aver subìto una procedura fallimentare, nel 1976, a Basilea, aveva trovato lavoro come impiegato in una struttura alberghiera. In seguito, aveva intrapreso l’attività di commercio di opere d’arte e reperti archeologici, avviando la ditta Palladion Antike Kunst.

Già nel 1992, sulla base delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Rosario Spatola e Vincenzo Calcara, che lo indicavano come vicino sia alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, sia alla famiglia mafiosa di Castelvetrano, per conto della quale avrebbe trafficato reperti archeologici, era stato indagato per concorso in associazione mafiosa.

A metà degli anni Novanta, divenuto ormai un affermato uomo d’affari, Becchina tornava a vivere stabilmente a Castelvetrano, dove aveva anche avviato delle attività economiche ed effettuato rilevanti investimenti.

Tra le iniziative siciliane, particolare rilevanza assume la costituzione nel 1987 della ATLAS CEMENTI S.r.l., società con sede a Mazara del Vallo ed avente ad oggetto “l’importazione, la produzione, il commercio all’ingrosso ed al minuto di cemento, lavorazione e trasformazione dei prodotti necessari per l’ottenimento dello stesso, commercio di materiale edile, costruzione di opere pubbliche, la compravendita di immobili e l’esercizio di impresa portuale”.

A partire dal 1991 nell’ATLAS CEMENTI s.r.l. subentrava come socio di riferimento ed amministratore il noto imprenditore mafioso Rosario Cascio, che, in breve tempo, riusciva a trasformare quella società in una delle più importanti e redditizie leve economiche dell’intera Sicilia. Il compendio aziendale e l’intero capitale sociale della ATLAS CEMENTI S.r.l. divenivano oggetto di confisca di prevenzione, nell’ambito del procedimento instaurato a carico di Cascio, conclusosi con decreto emesso il 21 giugno 2011 dal Tribunale di Agrigento – Sezione Penale e Misure di Prevenzione.

Frattanto nel 2001, Becchina – che già a partire dal 1979 era stato più volte denunciato per detenzione illegale di reperti d’interesse storico artistico – veniva coinvolto in una vastissima indagine giudiziaria, iscritta presso la Procura della Repubblica di Roma, perché ritenuto a capo di un’agguerrita organizzazione criminale dedita, da oltre un trentennio, al traffico internazionale di reperti archeologici, per la gran parte provenienti da scavi clandestini di siti italiani, esportati illegalmente in Svizzera per essere successivamente immessi nel mercato internazionale, anche grazie alla complicità dei direttori di importantissimi musei stranieri.

Nell’ambito di tale procedimento venivano individuati e sequestrati, a seguito di commissione rogatoria internazionale espletata in territorio elvetico, nella città di Basilea, cinque magazzini dove erano custoditi migliaia di reperti archeologici risultati provenienti da furti, scavi clandestini e depredazioni di siti, oltre che un archivio con più di tredicimila documenti (fatture, lettere indirizzate agli acquirenti, immagini fotografiche di reperti, etc.) relativi all’attività di commercio di opere d’arte e reperti condotta da Becchina. Quest’ultimo veniva sottoposto a fermo e, in seguito, a misura cautelare custodiale, ma non riportava alcuna condanna, essendosi i reati allo stesso contestati estinti per sopravvenuta prescrizione.

Nell’ambito di quelle indagini vennero sentiti i collaboratori di giustizia Angelo Siino, Giovanni Brusca e Francesco Geraci.

Brusca, in particolare, nel confermare gli interessi economici dei Messina Denaro nel traffico dei reperti archeologici, ha raccontato che fu lo stesso Riina ad indirizzarlo dal latitante castelvetranese, quando, nei primi anni Novanta, ebbe necessità di procurarsi un importante reperto archeologico, che avrebbe voluto “scambiare” con lo Stato italiano, per ottenere benefici carcerari per il padre. A dire di Brusca i trafficanti d’arte legati a Messina Denaro avrebbero avuto la loro base in Svizzera.

Inoltre, secondo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Francesco Geraci nella città di Basilea, Matteo Messina Denaro avrebbe voluto avviare delle attività economiche, impiegando proventi delle attività illecite della famiglia mafiosa.

Sempre a Basilea, secondo diverse risultanze giudiziarie, si sarebbe recato più volte lo stesso Matteo Messina Denaro ed altri appartenenti alla sua cosca mafiosa per acquistare illegalmente armi da guerra.

In atti d’indagine risalenti agli anni Novanta, si dà anche atto dell’esistenza di contatti telefonici tra utenze in uso al latitante e l’utenza svizzera in uso a Becchina.

Da ultimo, poco prima di morire, il collaboratore di giustizia castelvetranese Lorenzo Cimarosa ha parlato dei rapporti esistenti tra Becchina e Matteo Messina Denaro. Informazioni che gli avrebbe riservatamente rivelato Francesco Guttadauro, nipote prediletto (attualmente detenuto per mafia) della primula rossa di Castelvetrano.

Il provvedimento di sequestro colpisce aziende (OLIO VERDE s.r.l., DEMETRA s.r.l. BECCHINA & COMPANY s.r.l.), terreni, conti bancari, automezzi, ed immobili, tra i quali l’antico castello Bellumvider di Castelvetrano, la cui edificazione si fa risalire a Federico II,  nei secoli successivi eletto a residenza nobiliare del casato Tagliavia – Aragona – Pignatelli, principi di Castelvetrano.

Gli uomini della D.I.A. hanno inoltre sottoposto a perquisizione l’abitazione di Becchina, eletta nell’antica tenuta di caccia della famiglia Tagliavia – Aragona – Pignatelli.

Difficile quantificare il valore dei beni in sequestro d’interesse storico – architettonico, che certamente ascende a svariati milioni di euro.

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