VIDEO: Sequestrati beni a fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro

Nella giornata di ieri, Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza, hanno dato esecuzione a un decreto di Sequestro preventivo nei confronti dei patrimoni di quattro soggetti definiti “fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro”, il noto superlatitante di Cosa Nostra, ricercato numero uno in Italia.
Il sequestro riguarda beni mobili, immobili e aziende di Mazara del Vallo, Castelvetrano, Salemi, Partanna, Santa Ninfa e Trapani per un valore totale stimato in circa 13 milioni di euro. Nel dettaglio riguarda: 8 aziende ed 1 quota societaria (supermercati, aziende agricole e d’allevamento ovino), 68 immobili (27 fabbricati e 41 terreni), 2 autovetture, 36 rapporti finanziari e bancari.
A finire nel mirino degli inquirenti sono stati Vito Gondola, di Mazara del Vallo, classe1938, allevatore pluripregiudicato, ritenuto il reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo; Michele Gucciardi, di Salemi, classe1953, imprenditore agricolo pregiudicato, ritenuto il reggente della Famiglia mafiosa di Salemi; Giovanni Domenico Scimonelli, classe1967, imprenditore pregiudicato, ritenuto uomo d’onore della famiglia mafiosa di Partanna; Pietro Giambalvo, classe1938, allevatore pregiudicato, ritenuto uomo d’onore della famiglia mafiosa di Santa Ninfa.
I quattro sono in carcere dallo scorso 3 agosto, data dell’Operazione Ermes, scattata per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e favoreggiamento aggravato dalla modalità mafiosa per aver agevolato la latitanza del boss Messina Denaro.
Il decreto di sequestro è stato emesso dal Gip del Tribunale di Palermo, M. Pino, su richiesta del procuratore aggiunto Teresa Principato e dei sostituti procuratori Paolo Guido e Carlo Marzella della Procura della Repubblica di Palermo, condividendo le risultanze delle approfondite indagini di natura patrimoniale condotte da investigatori del Servizio Centrale Operativo e delle Squadre Mobili di Palermo e Trapani, del G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Palermo e del R.O.S. Reparto Anticrimine dei Carabinieri di Palermo.
aDalle indagini patrimoniali sarebbe emerso “il palese disvalore tra i redditi dichiarati dagli indagati ed i beni posseduti, per cui il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, si rendeva urgente e necessario anche al fine di scongiurare eventuali alienazioni a prestanomi o a terzi”.
Stando alla ricostruzione degli inquirenti, sia il Gondola che lo Scimonelli, dopo essere stati tratti in arresto, avrebbero dato mandato ai loro congiunti di vendere parte dei propri beni a terzi proprio per evitare eventuali provvedimenti di sequestro.
“I destinatari dell’odierno provvedimento – si legge in una nota congiunta – erano rimasti coinvolti nelle indagini svolte da investigatori del Servizio Centrale Operativo e delle Squadre Mobili di Palermo e Trapani, finalizzate alla cattura del latitante Messina Denaro, che avevano consentito di individuare, fin dai primi mesi del 2012 alla data di esecuzione dei provvedimenti restrittivi la rete di veicolazione dei pizzini diretti al latitante o originati dallo stesso e destinati alle diverse famiglie mafiose della provincia di Trapani. Rete che si strutturava grazie a riservatissime comunicazioni tra i predetti uomini d’onore che, al fine di eludere le investigazioni dirette alle loro persone, utilizzavano alcuni insospettabili soggetti per fissare discreti appuntamenti in isolatissimi luoghi delle campagne tra Salemi, Mazara del Vallo, Santa Ninfa e Partanna.
In particolare, è stato evidenziato il ruolo apicale del Gondola, al quale, stando a delle intercettazioni, era stato attribuito il compito di gestire i tempi e i modi di consegna e distribuzione della “corrispondenza” del boss Messina Denaro. Gucciardi, Giambalvo e Scimonelli, invece, sarebbero stati individuati dallo stesso Gondola quali affidabili “tramiti” – come li definisce lo stesso Messino Denaro in scritti in precedenza sequestrati), col compito di interloquire con altri capimafia.
È emerso che la corrispondenza avveniva con cadenza trimestrale e con modalità dettate dallo stesso latitante. Lo scambio dei pizzini avveniva in aperta campagna, dove veniva utilizzata la massima accortezza nel linguaggio per riferirsi al latitante o alle dinamiche criminali.

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