Trivelle: quella volta che il petrolio minacciò le Egadi
È il maggio del 1985 quando, per puro caso, nel corso della famosa Settimana delle Egadi, gli abitanti delle isole sanno della presenza di trivelle nel loro mare. Durante il suo intervento a Favignana, il professor Paolo Arata, dell’ICRAP – Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata alla Pesca marittima –, fa trasalire i presenti e la voce si sparge presto in paese e nelle vicine Levanzo e Marettimo. Il progetto ha un nome mitologico e ad effetto, “Narciso”, ma agli isolani non piace. Ha così inizio una non facile battaglia per la salvaguardia dell’ambiente e del meraviglioso e incontaminato paesaggio egadino, una battaglia caratterizzata anche una triste e decisiva pagina.
«Nell’estate di quell’anno, per la prima volta viene denunciato il grave pericolo che incombeva sulle Egadi, all’insaputa dei suoi abitanti – dichiara Maria Guccione, memoria storica dell’isola di Favignana –. Senza quella prima autorevole denuncia, forse la nostra azione sarebbe stata tardiva». Nasce, quindi, il Comitato Ecologico delle Egadi, che si pone l’obiettivo di vederci chiaro, di sensibilizzare al problema i cittadini e le istituzioni. Passa qualche mese e un grave evento sconvolge la comunità isolana: un rilevante sversamento di petrolio a est di Favignana, forse dovuto a delle attività preliminari. «Una macchia oleosa di almeno cinque miglia», testimonierà qualcuno ai giornali dell’epoca. «Ho fatto il bagno a Cala Azzurra, c’era puzza di benzina e l’acqua era schiumosa», dichiara un residente. «Sono andato al Bue Marino e l’arietta che arrivava sulla costa bruciava gli occhi, disturbava anche la respirazione», dichiara un altro. Così, la politica locale si sveglia, i geologi si allarmano per le conseguenze sismiche delle estrazioni, vengono raccolte centinaia di firme per protestare e ci si mobilita anche a Marsala, perché le ricerche petrolifere minacciano la riserva dello Stagnone. L’eco di questo tam tam finisce per entrare nei palazzi che contano, ma contemporaneamente va avanti anche un’altra battaglia, quella dell’Agip, che vuole continuare la sua attività. Non solo assicura che non esiste nessun rischio di inquinamento, ma vuole far sorgere altri sei pozzi al largo dell’arcipelago. Intanto, il presidente della Regione, Rino Nicolosi, chiede di sospendere le ricerche petrolifere in corso perché minacciano il “patrimonio paesaggistico e archeologico sottomarino”. Si uniscono il sovrintendente ai Beni Culturali Ernesto De Miro e l’assessore regionale al Turismo, Pietro Pizzo, il quale diffida l’allora Ministero dell’Industria. Per riacquisire consensi, l’Agip promette allora di abbellire, “mimetizzare” la piattaforma, ma dopo una tre giorni di dibattito la Provincia di Trapani chiede la revoca del permesso alla società e che in futuro non vengano rilasciate nuove autorizzazioni, “anche alla luce del fatto che i permessi sono stati rilasciati nel 1974, cioè in data anteriore alla dichiarazione di alta sismicità della zona”. È una prima grande vittoria. Purtroppo l’entusiasmo dura poco: non passa molto tempo e il ministro dell’Industria, Valerio Zanone, firma un decreto che autorizza l’Agip a estrarre il petrolio nelle coste del comprensorio trapanese. Gli va contro il collega Franco De Lorenzo, fresco di nomina al ministero dell’Ambiente, il quale dichiara che «è inaccettabile che lo sfruttamento energetico debba prevalere a qualunque costo sulla salvaguardia della natura». Al Comitato Ecologico delle Egadi e ai cittadini non rimane che dichiarare “guerra” alla compagnia petrolifera. Il Partito Comunista Italiano e i Verdi presentano una mozione che impegna il governo a revocare il decreto ministeriale di concessione per la ricerca petrolifera nel mare delle Egadi e nello specchio di mare dello Stagnone, mozione che nell’estate del 1988 viene approvata all’unanimità dalla Camera dei Deputati. Finisce così definitivamente quella che Maria Guccione definisce la «seconda battaglia delle Egadi», in riferimento allo scontro tra romani e cartaginesi, avvenuto il 10 marzo del 241 a.C.
«Lo sversamento dell’85 ha fatto sì che molti uscissero dalla loro titubanza e indecisione per capire realmente il rischio in corso – conclude –. La memoria del passato deve servire a renderci consapevoli e a guidare le scelte del presente».