LA PAURA DEL VIRUS E IL VIRUS DELLA PAURA
Non avremmo mai immaginato di ricordare il ventunesimo anniversario della strage del Centro di Permanenza Temporanea per immigrati “Serraino Vulpitta” in un contesto mondiale dominato da una pandemia.
Questa emergenza planetaria ha stravolto la vita di tutti, letteralmente. Le ripercussioni sociali, politiche ed economiche sono e saranno enormi da un punto di vista collettivo, così come altrettanto gravi saranno le ferite psicologiche e relazionali che ciascun individuo porterà con sé.
Su un piano politico, la pandemia ha offerto ai governi la possibilità di affinare una serie di dispositivi di controllo sociale e di disciplinamento che non si erano mai visti prima, quanto meno nel mondo occidentale, in tempi di pace.
Fughiamo ogni dubbio prima di proseguire nel ragionamento: noi non siamo negazionisti e non abbiamo alcun dubbio sulla oggettiva pericolosità del Covid-19. Siamo altresì convinti che sia necessario che ogni persona assuma comportamenti responsabili per la salute propria e degli altri adottando ogni accorgimento utile.
Cionondimeno, non possiamo esimerci da una riflessione sull’estrema pericolosità dei provvedimenti repressivi che nel corso di questo anno sono stati sperimentati in Italia sul corpo sociale. Abbiamo assistito a una implementazione tanto ossessiva quanto contraddittoria della decretazione d’urgenza da parte del governo. Abbiamo visto sindaci e presidenti di regione convinti di essere dei piccoli dittatori, impegnati a emettere ordinanze gratuitamente persecutorie, accecati da un delirio di onnipotenza giustificato dall’emergenza sanitaria. Durante i mesi della chiusura totale del paese, l’opinione pubblica è stata bombardata da messaggi retorici e propagandistici finalizzati al reclutamento collettivo per questa presunta “guerra al coronavirus”. Nel delirio nazionalista, a metà tra il patetico e il ridicolo, venivano appesi i tricolori alle finestre, ai bambini si facevano disegnare gli arcobaleni, e ogni pomeriggio si accendeva lo stereo per diffondere l’Inno di Mameli.
“Andrà tutto bene” ci dicevano.
Nel frattempo, gli ospedali del Nord Italia andavano al collasso e le
persone continuavano a morire, a migliaia. Medici e infermieri si
ammalavano perché non avevano nemmeno le mascherine, alla faccia della
retorica su “i nostri eroi”.
Mentre una nazione intera veniva chiusa
in casa, i lavoratori della sanità sono stati abbandonati a loro stessi,
le grandi fabbriche del Nord non hanno mai sospeso la loro attività e
così il virus ha continuato a viaggiare velocemente sulle gambe dei
pendolari che affollavano i mezzi pubblici per recarsi al lavoro. Mentre
in Tv e sui giornali si puntava il dito contro chi usciva di casa, da
solo, per fare jogging al parco, le fabbriche di armi restavano aperte e
operative, perché annoverate tra le “attività essenziali” dal decreto
del presidente del consiglio.
Mentre ovunque ci veniva detto di
“restare a casa”, non si è mai proceduto a una seria mappatura del
contagio necessaria all’adozione di provvedimenti più efficaci e
razionali. In questa disgustosa fiera dell’ipocrisia esercitata
letteralmente sulla pelle degli italiani, in pochissimi hanno denunciato
con chiarezza che la classe dirigente che oggi pontifica sulla salute e
sulla sicurezza degli italiani è la medesima classe dirigente che ha
distrutto il sistema sanitario nazionale negli ultimi trent’anni.
Oggi
paghiamo a carissimo prezzo tutti i tagli alla sanità, le chiusure di
molti ospedali, la drastica riduzione dei posti letto, il
depotenziamento dell’assistenza territoriale, la privatizzazione
selvaggia dei servizi, il blocco delle assunzioni del personale medico e
infermieristico.
Va detto chiaro e tondo che i veri responsabili di
questo sfacelo sono quegli stessi politicanti che per mesi hanno vestito
i panni dei moralizzatori per censurare i comportamenti dei cittadini
accusandoli di essere degli irresponsabili o dei criminali.
Il governo italiano ha avuto sei mesi di tempo per correre ai ripari e
affrontare decentemente quella che tutti chiamano adesso la “seconda
ondata” e che tutte le persone mediamente accorte sapevano si sarebbe
verificata.
E invece, nulla.
Le forti pressioni da parte del
padronato e di Confindustria rispetto alla necessità di far ripartire
l’economia e il turismo hanno avuto come unico risultato la ripresa
esponenziale dei contagi, anche in quelle aree del paese che fino ad
allora se l’erano cavata. Tra provvedimenti governativi demenziali e
ipocriti (come la riapertura estiva delle discoteche, poi subito
chiuse), nelle fabbriche – quelle grosse – non si è mai smesso di
lavorare e i mezzi di trasporto pubblici non sono mai stati potenziati
per decongestionare l’affluenza. Ci si è accapigliati per settimane
sulle scuole (scuole che, specie al Sud, continuano a cadere a pezzi)
costringendo poi gli studenti alla didattica a distanza senza pensare a
soluzioni meno lesive del diritto all’istruzione e alla fruizione degli
spazi scolastici.
Lo stato si è dimostrato incapace di garantire il giusto ristoro
economico alle attività che si erano fermate, e per moltissimi italiani
la Cassa integrazione è stata un vero e proprio dramma a causa dei
gravissimi ritardi nell’erogazione del denaro.
Quando si tratta di finanziare le missioni militari o l’acquisto di armi,
però, i soldi si trovano sempre e subito. Quante terapie intensive si
possono allestire con i soldi spesi per un cacciabombardiere?
La paura del virus, tanto umana quanto comprensibile, ha generato un’infezione altrettanto temibile: il virus della paura.
Lo
scenario distopico in cui siamo immersi si alimenta non solo delle
azioni del governo ma anche dall’angoscia di morte che, in molti casi,
ha dato luogo a comportamenti ossessivi da parte dei singoli cittadini.
La paura del virus, in molti casi, è stata rielaborata con la solita
costruzione del capro espiatorio: all’inizio era tutta colpa dei cinesi,
poi di tutti gli altri immigrati, e così via. Nella ricerca spasmodica
di un “untore”, molti cittadini hanno assunto atteggiamenti odiosamente
delatori per segnalare alle autorità, anche in maniera pretestuosa, i
presunti trasgressori dei divieti governativi.
In questa surreale
interruzione della cosiddetta normalità, non hanno aiutato le
dichiarazioni spesso ambigue e contraddittorie da parte di alcuni
esponenti del mondo scientifico sulle origini e i possibili rimedi alla
malattia che hanno involontariamente dato fiato ai deliri negazionisti e
complottisti cavalcati strumentalmente da reazionari e fascisti, sia in
Italia che all’estero.
Non è certo la prima volta che l’umanità è costretta a fare i conti
con una pandemia. Come sempre le conseguenze peggiori sono patite dai
soggetti più deboli e da quelle fasce della popolazione la cui
“normalità” è scandita dalla povertà e dalla marginalità. In uno stato
d’eccezione come quello che stiamo vivendo, queste problematiche sono
addirittura esacerbate.
Per esempio, ci sembrano significativi, sul
fronte dell’immigrazione in Italia, i dati emersi nel Dossier statistico
2020 realizzato da Idos. Lo studio
dimostra che lo sfruttamento dei lavoratori stranieri, specialmente in
agricoltura, è sensibilmente peggiorato in un quadro di generale aumento
della precarietà e della discriminazione, ulteriormente aggravato
dall’emergenza sanitaria. A ben vedere, tutti i lavoratori in nero,
tutti gli sfruttati, tutti i sottopagati, tutte le persone – di
qualunque nazionalità – che si arrangiano per tirare a campare sono
state travolte dalle conseguenze socioeconomiche della pandemia.
Nel
nostro territorio ha tenuto banco per diverso tempo la drammatica
situazione del centro di accoglienza di Valderice adibito a centro per
la quarantena, con numerosi episodi di tensione, tentativi di fuga e
rivolte che hanno dato origine a vibranti proteste da parte dei
cittadini esasperati. Purtroppo è un copione destinato a ripetersi, dal
momento che gli immigrati costretti alla clandestinità hanno molta più
paura di finire dentro a un centro di detenzione o di essere
rimpatriati, piuttosto che di ammalarsi di Covid-19.
Il coronavirus ha sostanzialmente svelato tutti i limiti e le contraddizioni del modello sociale ed economico dominante. Il fenomeno dello spillover (il salto di specie) che con ogni probabilità è all’origine di questa infezione, è strettamente legato all’invasività dell’attività umana sulla natura e al carattere predatorio dell’economia capitalistica sulle risorse planetarie. Allo stesso tempo, il coronavirus ha messo drammaticamente a nudo l’estrema fragilità di un sistema che per mantenere i profitti e i privilegi di poche persone, continua a massacrare la maggior parte della popolazione mondiale attraverso la privazione di diritti fondamentali come, in questo caso, il diritto alla salute e a cure efficaci uguali per tutti.
In questo scenario desolante la speranza arriva, ancora una volta, dalle tante reti autogestite che in tutta Italia (e non solo) hanno cercato di far fronte ai durissimi mesi del lockdown attraverso azioni di solidarietà concreta destinate alle persone più in difficoltà, a dimostrazione del fatto che il mutuo appoggio e il sostegno reciproco sono il miglior vaccino contro il virus della paura.
Chiudiamo la nostra riflessione sull’anno appena trascorso,
nell’anniversario del rogo del “Vulpitta”, rivolgendo il nostro pensiero
ai quattordici detenuti morti in seguito alle rivolte di marzo
scoppiate in molte carceri italiane. La paura del virus, il terrore del
contagio alla luce del perenne sovraffollamento degli istituti di pena, e
il divieto alle visite dei parenti scatenarono il panico e la rabbia
dei carcerati. Le rivolte furono represse nel sangue.
Quattordici
morti dei quali nessuno ha mai più voluto parlare. Un’altra strage di
stato che si aggiunge alla lunga scia di sangue con cui viene tracciata
la strada della cosiddetta democrazia.
Tranquilli, però: “Andrà tutto bene”.
Coordinamento per la Pace – Trapani