Pietro Terracina a Trapani per raccontare l’orrore di Auschwitz

incontro Piero TerracinaPiero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz, dove fu deportato per le sue origini ebraiche, stamani ha tenuto un incontro presso l’aula magna dell’università di Trapani.
Dopo l’intervento del presidente del polo, Silvio Mazzarese, Terracina ha salutato gli studenti e ha cominciato a raccontare l’incubo vissuto nel campo di concentramento tedesco.
«Dall’inferno di Dante e delle religioni nessuno è mai tornato, ma io l’inferno l’ho visto con i miei occhi, vissuto sulla mia pelle, e da là sono tornato e posso raccontare tutti i suoi orrori», ha esordito.
Scampato al rastrellamento del ghetto di Roma (16 ottobre 1943), il 7 aprile 1944 venne arrestato insieme a tutta la famiglia: i genitori, la sorella Anna, i fratelli Cesare e Leo, lo zio Amedeo, il nonno Leone David. Dopo un breve soggiorno nel campo di Fossoli, nella notte del 17 maggio del 1944 fu deportato insieme agli otto familiari. Dopo l’arrivo ad Auschwitz non avrebbe mai più rivisto i suoi cari.
«Arrivammo dentro il campo di concentramento, dalle fessure vedevamo le SS con i bastoni e i cani. Scendemmo e ci divisero in due file, quelli destinati a morire poco dopo e quelli che erano forti e adatti per lavorare al campo. Andai alla ricerca dei miei fratellini, di mia madre, lei aveva già capito tutto: mi benedì alla maniera ebraica, piangendo, mi abbracciò e ci lasciò andare, dicendoci che non ci saremmo più rivisti. Fu proprio così. Mio padre, intanto, andava verso la camera a gas con mio nonno di 84 anni. Chiesi ad un altro sventurato: “Dove sono i miei genitori?”. Lui rispose: “Vedi il fumo del camino? Sono già usciti da lì”».
Immatricolato con il n. A-5506, Terracina cominciò così la sua lotta per la sopravvivenza.
«Non avevamo più un nome, non eravamo più persone, ma pezzi. Ai prigionieri veniva tolta ogni dignità, quella che poco prima dell’arrivo ad Auschwitz mio padre mi aveva detto di tener salda, qualunque cosa fosse accaduta. Ma in un posto come quello, come si fa ad avere dignità?»
Un luogo orribile, l’inferno appunto, dove però era possibile stringere amicizie fraterne come quella con Sami Modiano, un altro noto sopravvissuto, anch’egli attualmente impegnato nel testimoniare agli studenti l’orrore della Shoah.
La liberazione arrivò il 27 gennaio 1945.
«Pesavo 38 chili, dopo aver camminato per un po’ crollai. Fui portato dai russi in un ospedale e pian piano presi coscienza di quello che era stato perpetrato. Ma non da gente “folle”, bensì da persone normali, che la sera metteva a letto i propri figli, li baciava, aveva una vita come altri».
Infine un monito: «Ricordate sempre, per voi e per i vostri figli. E non credete a chi si erge a depositario della verità oppure ad unica soluzione per risollevare le sorti di qualcuno o qualcosa».

Marco Amico

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