HOTSPOT A TRAPANI, UN BENE O UN MALE?
Nella notte tra il 28 ed il 29 dicembre del 1999, a Trapani, all’interno del centro di permanenza temporanea per extracomunitari “Serraino Vulpitta”, dopo un tentativo di fuga duramente sedato dalle forze dell’ordine, dodici immigrati vennero rinchiusi in una cella, bloccata dall’esterno con una sbarra di ferro. Uno di loro diede fuoco ai materassi nel tentativo di farsi aprire la porta.
Fu l’inferno. Nel rogo morirono subito, bruciati vivi, tre immigrati tunisini; altri tre moriranno nei mesi successivi in ospedale a causa delle gravissime ustioni riportate.
Dopo undici anni da quel tragico evento, nel 2010, venne aperta una nuova struttura, denominata oggi CIE – Centro di Identificazione ed Espulsione –, in contrada Milo alla periferia di Trapani, con la capienza di oltre duecento posti. “Una struttura inutile e violenta, situata alla periferia di Trapani, caratterizzata da una serie di “blocchi” di cemento, che ha già divorato ingenti risorse economiche per la sua realizzazione, e che ancora ne divorerà per la sua gestione”, commentò qualcuno nei giorni dell’apertura.
Oggi in occasione di questa lontana tragedia datata 1999, una tragedia da non dimenticare, Trapani si prepara all’imminente trasformazione del CIE in Hotspot, come da tempo annuncia il Prefetto Leopoldo Falco, ed anche questa volta c’è chi definisce “pessima” la notizia.
Il governo italiano, ubbidendo alle direttive di Bruxelles, torna dunque a scommettere su questo territorio. Evidentemente gli scandali, le inchieste, le recenti vicende con accuse di reati sessuali al prete che teneva in mano le redini della cosiddetta accoglienza in questa provincia, non sono bastate a escludere Trapani.
Il centro di Milo funzionerà come un enorme campo di smistamento in cui sarà deciso il destino di donne e uomini divisi tra migranti “economici” e potenziali richiedenti asilo.
“Le numerose testimonianze delle persone recluse nell’Hotspot di Lampedusa sono molto chiare – dichiarano dal Coordinamento per la Pace, sezione di Trapani –: poliziotti italiani ed europei, funzionari di Frontex e dell’Europol fanno firmare un questionario, senza alcuna traduzione, ai migranti appena sbarcati per stabilire se sono migranti “economici” oppure migranti meritevoli di protezione umanitaria. In molti casi, il solo criterio utilizzato è il paese di provenienza. Poi, come raccomandato dalla Commissione europea, si procede alla rilevazione, anche con la forza, delle impronte digitali”.
“I migranti considerati economici vanno espulsi – continuano dal Coordinamento –. Se non è subito possibile, gli viene dato un pezzo di carta con l’intimazione a lasciare l’Italia entro 7 giorni. In pratica, vengono trasformati in clandestini. Un ritorno al passato che ci riporta indietro di dieci anni, quando dai CIE italiani uscivano immigrati senza documenti, costretti alla clandestinità. I migranti considerati, invece, dei rifugiati vengono identificati, trattenuti in attesa della ‘ricollocazione’, e introdotti nell’estenuante procedura per il riconoscimento del diritto d’asilo. Ma a causa del regolamento di Dublino, al profugo viene impedito di andare nel paese realmente desiderato, ed è per questo che molti di loro si rifiutano di fornire le impronte digitali nell’Hotspot di arrivo”.
Considerando le guerre e il terrorismo che devastano il mondo, questa differenza di status tra chi viene in Europa per lavorare e chi scappa dalle bombe o dall’Isis, è una distinzione odiosa e priva di alcun senso: tutti, infatti, rischiano la vita per crearsi un futuro, tutti cercano di scappare da instabilità e povertà, tutti meritano pari opportunità.
Il rovescio della medagli ci svela però come ci sia bisogno di trasformare il CIE in Hotspot.
Trapani è una delle mete dei cosiddetti “viaggi della speranza” e spesso, soprattutto nel periodo estivo, i centri di accoglienza sono pieni al punto di ospitare un numero di gran lunga superiore alla loro capienza. Naturalmente ciò comporta diverse carenze, dai posti letto all’igiene. Non è raro in questi periodi assistere a proteste organizzate di immigrati che, stanchi di aspettare i documenti in condizioni pessime, tentano disperatamente di far sentire la loro voce.
Trasformando il CIE in Hotspot gli immigrati sosteranno solo pochi giorni a Trapani, il tempo di identificarli e di dar loro assistenza post-sbarco, in modo da avere sempre un tetto pronto ad accogliere per qualche giorno chi affronta quel terribile viaggio.
A ciò si accompagna naturalmente la drastica diminuzione del numero di extracomunitari occasionali nel nostro territorio.
Vista la quantità di aspetti positivi e negativi che comporta l’istituzione di un Hotspot, sarà solo il tempo a decretare se si è trattato di una mossa vincente o meno.
Fabio Mazzonello