Il tema della Giornata Europea della Cultura Ebraica di quest’anno è “Santità e Bellezza nella cultura ebraica”

Nella Torà si trovano molti termini che con varie accezioni ruotano attorno al significato della bellezza.
Alcuni dei termini, evidenziati anche nel logo della Giornata, sono:

– Yafe – יפה : bello

– Tiferet – תפארת : gloria, splendore

– Nechmad – נחמד : carino

– Nehedar – נהדר : splendido

– Tov – טוב : buono

– Naim – נעים : piacevole

Secondo Rav Jonathan Sacks, “la grande differenza tra l’antico Israele e l’antica Grecia è

che i greci credevano nella santità della bellezza mentre il giudaismo parlava di hadrat

kodesh, la bellezza della santità”.

Il concetto di bellezza risulta invertito nel suo significato: è bello ciò che è santo.

Il termine bellezza viene attribuito alle persone ma anche all’amore, come nel Cantico dei Cantici dove l’amore fra l’uomo e la donna e la bellezza che lo contraddistingue viene interpretato come allegoria del legame tra Dio e il popolo ebraico.

Spesso il concetto di bellezza è associato anche  all’importanza e bellezza dell’unità di Dio e, a imitazione divina, del popolo ebraico e dell’umanità in generale, unità che non è mai nell’ebraismo omologazione, ma sempre rispetto e valorizzazione dell’uguaglianza nelle differenze, della pluralità di idee, dell’unicità irripetibile di ogni essere umano e di ogni popolo e cultura.

La bellezza è associata anche ai precetti e alla ritualità come nel  versetto “questo è il mio Dio e io lo glorificherò” (Esodo 15, 2),  interpretato dai maestri talmudici nel senso di “lo adornerò”, “lo abbellirò”.

Per spiegare come è possibile abbellire il Creatore, i maestri affermano:

“[…] è vero che è impossibile all’uomo adornare il Creatore, ma si possono abbellire gli oggetti mediante i quali si adempiono i suoi precetti: così si può scegliere un bel lulab, una bella sukkah, un bello shofar, degli tzìtzìt belli o dei bei tefillin.” (TJ, Péa, I, 1).

Proprio sulla cura e la magnificenza degli oggetti di culto, anzitutto la menorah, il candelabro a sette bracci, venerato nel tempio di Gerusalemme e divenuto simbolo della religione ebraica intorno al III sec. d.C., si basa la proposta del Museo archeologico Lilibeo con l’esposizione dedicata alle lucerne sulle quali è rappresentato questo oggetto cultuale. (III-V sec. d.C.) E’ interessante notare anche che, nelle aree cimiteriali di Lilibeo, le lucerne ebraiche risultano coeve alle lucerne cristiane.

Nella Torà anche le opere artistiche, come ad esempio il Tempio del re Salomone (1 Re,6), sono definite “belle”, a dispetto di un pregiudizio diffuso secondo cui la dimensione artistica sarebbe assente nella cultura ebraica e che quest’ultima manchi di inclinazione estetica. Il pregiudizio nasce dal divieto di adorazione a oggetti o a immagini a cui si attribuiscano caratteri e poteri divini, che diventa idolatria, ponendo una separazione tra sfera etico-religiosa e dimensione artistica, in tal modo inconciliabili. Una corretta interpretazione terminologica ha mostrato come il divieto non vada riferito né all’immagine né all’arte in quanto tali, ma solo all’uso cultuale e idolatrico che si può fare non solo dell’immagine, ma di qualsiasi cosa, sia essa “in cielo al di sopra o in terra al di sotto o nelle acque al di sotto della terra”, come si specifica in Esodo 20, 4.

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